C’era una volta Anna, analista tecnico-funzionale di 31 anni, laureata in informatica, una donna responsabile, concreta, precisa che voleva diventare project manager. Sì, perché dopo 2 stage in azienda e la conferma nella società di consulenza informatica, aveva proprio voglia di coordinare progetti e persone: si trattava di uscire un po’ dalla consuetudine delle solite cose che ormai faceva da 3 anni e anche di ricoprire un ruolo un po’ più prestigioso di quello attuale.
La parola “manager” fa sempre un certo effetto, ti fa sentire di aver realizzato qualcosa, e poi “sai quando glielo dico ai miei! Dopo tutti i sacrifici che hanno fatto per farmi studiare!”.
Quando ricevette quella telefonata dal suo capo, il battito del cuore accelerò e scattò in piedi, quasi sull’attenti; cercava di controllare e far tacere le sue emozioni che erano un misto fra speranza e timore. Un mese prima Anna aveva manifestato il suo desiderio al responsabile che, serio, le rispose che avrebbe segnalato la sua richiesta all’ufficio Risorse Umane: se ci fosse stata una necessità organizzativa gliel’avrebbero fatto sapere.
La voce di Sergio, il suo capo, le disse che si era aperta una selezione interna per ricoprire il ruolo di junior project manager, e per valutare i candidati, l’ufficio HR aveva organizzato un colloquio di gruppo, il cui esito avrebbe decretato chi poteva ricoprire quel ruolo. Click. Telefonata chiusa.
Anna era da sola a casa quando ricevette la notizia, quindi nessuno ebbe la possibilità di vedere nel suo viso e nei suoi movimenti la quantità di emozioni che stava provando: gioia, soddisfazione ed eccitazione ma anche preoccupazione, tensione, nostalgia e una leggera irritazione. Ad Anna non piaceva sentirsi tesa e ansiosa, perciò decise di concentrarsi solo sulla contentezza e lasciarsi alle spalle quelle altre sensazioni fastidiose.
“Perché Anna non stava provando semplicemente gioia, entusiasmo o euforia? In fin dei conti, si stava finalmente presentando l’opportunità che stava cercando, avrebbe dovuto essere felice e grata! E invece…eccole lì anche le altre emozioni, quelle brutte, quelle negative: la paura, la tristezza, la preoccupazione.
Il fatto è che il mondo in cui viviamo è ricco di stimoli e noi stessi, esseri umani, siamo dei sistemi complessi perciò è impossibile che una situazione possa scatenare in noi una e una sola emozione, chiara distinta e solitaria. Chi studia il mondo delle emozioni e conosce l’intelligenza emotiva, sa che nei frangenti che attivano la nostra attenzione, possiamo provare una o due emozioni molto intense, che, per la loro potenza, nascondono le altre sensazioni che risultano, di conseguenza, meno percepibili. Se, però, alleniamo la nostra consapevolezza emotiva, possiamo accedere anche alle preziose informazioni che ci portano quelle emozioni meno intense, più sottili e meno visibili”
Le tre settimane che separavano Anna dal giorno dell’assessment di gruppo furono scandite dalle stesse tipiche e conosciute attività: riunioni, analisi, confronti, report, telefonate; il ritmo era intenso, come al solito, ma era una velocità che ad Anna piaceva perché lei è una di quelle professioniste che ama concretizzare, portare a termine le attività, con determinazione. Tutto uguale, insomma … se non fosse per quell’indolenzimento al collo e ai muscoli che arrivano fino alla spalla, comparso durante la prima settimana … e al sonno agitato che iniziò a far sentire i suoi effetti sulle energie di Anna dopo la seconda settimana dall’arrivo della fatidica telefonata.
Al di fuori delle ore lavorative di frequente pensava al colloquio a cui avrebbe partecipato e, per rilassarsi, richiamava a sé quelle emozioni piacevoli che aveva provato immediatamente dopo la notizia, sognando di vedersi realizzata come project manager…però, con suo rammarico, era sempre più difficile, perché man mano che i giorni passavano, sempre più prendeva forma la preoccupazione, ma anche una leggera tristezza e una certa irritazione.
La nostra protagonista voleva sentirsi bene e capace di affrontare con ottimismo la prova che le era stata offerta, perciò decise di buttare dietro alle spalle le sensazioni fastidiose e di non pensarci più. Perché, in fin dei conti “se voglio fare la manager non posso mica essere spaventata da una cosa de genere”.
Con questa determinazione dichiarata ma un po’ meno solida di quanto avesse voluto, Anna si preparò per andare a dormire, sperando in un sonno ristoratore.
“A questo punto della storia, ad Anna servirebbe, per il suo stato d’animo, per la preparazione al colloquio di gruppo – e al suo ruolo di futura manager, una maggiore dimestichezza con la competenza “Navigare le Emozioni” (una delle 8 dell’intelligenza emotiva secondo Six Seconds) descritta da J. Freedman: -Alle persone viene spesso detto di sopprimere emozioni come rabbia, gioia o paura e di tagliarle fuori dal processo decisionale. Ma i sentimenti forniscono consapevolezza, energia e sono la base vera per quasi tutte le decisioni. Navigare le proprie emozioni identifica l’abilità di accettare i propri sentimenti, e l’accettazione è una condizione necessaria in quanto solo così è possibile utilizzare le proprie emozioni. Se non accetto la rabbia che provo nei confronti di una persona non saprò nemmeno gestirla e superarla. L’efficacia di questa competenza sta nel valorizzare le proprie emozioni. [….] Se si applica questa abilità, si assiste a un incremento della produttività e a un miglioramento della relazione con gli altri.-”
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