No. Non è un gran bel momento quello che stiamo vivendo da marzo 2020 ad oggi.
Certo, non è che si potesse dire che il mondo fosse sano, fiorente e un bel posto dove vivere al 100% neanche prima. Voglio dire: fra disoccupazione, povertà, guerre, ingiustizie e malattie… ce n’erano di cose di cui preoccuparsi ed impensierirsi o arrabbiarsi!
La differenza è che ora è tutto così pervasivo e permanente.
All’inizio sembrava che si trattasse solo di stringere i denti per qualche settimana… ma ora! Sembra proprio non avere più fine. E, come se non bastasse, le conseguenze della pandemia stanno avendo un impatto così ampio, in ogni settore dell’esistenza umana, in ogni piccola piega della realtà, anche quella più nascosta.
In una situazione così, è naturale che l’atteggiamento più legittimo sia, senza dubbio, il pessimismo. Abbiamo tutte le ragioni per esserlo.
Difendiamo il diritto di essere pessimisti!
Aver scritto questa frase in modo così chiaro mi rende piena di soddisfazione e serenità.
Non se ne può più di tutti quelli che scrivono “non permettere a nessuno di farti rubare i tuoi sogni”, “se vuoi, puoi!”, “alzati dal divano, il mondo è la fuori!”, “pensa positivo!”, “niente scuse!”. Ma perché pensano che se una persona non è determinata, proattiva ed ottimista a tutti i costi ha qualcosa di sbagliato e che si tratta solo di una mancanza di volontà?
Quando si affievolisce l’intensità del fastidio che mi generano alcune frasi motivazionali come quelle che ho riportato sopra, allora divento più pacata e meno forcaiola. Così possono subentrare anche i ricordi dei dati di ricerche scientifiche che sostengono in modo ampio che una certa dose di pessimismo serve (le persone possono soffrire meno se le cose non vanno bene e si adoperano per pianificare gli step che porteranno ai risultati desiderati), ma che un approccio ottimistico nei confronti degli eventi avversi ha un impatto benefico su diverse sfere della nostra vita, in special modo la salute fisica e il benessere mentale*.
La domanda cardine è, a questo punto: come si fa a mantenere l’ottimismo anche quando tutto ti sta crollando addosso?
Diversi illustri studiosi ed esponenti religiosi hanno speso le loro energie per poter rispondere a questa domanda: Martin E. P. Seligman, Watzlawick, Csìkszentmihalyi, il Dalai Lama, Desmond Tutu, Richard Davidson…
Quattro frasi che ti puoi dire per imparare l’ottimismo.
Ognuno di questi “giganti” offre, sulla base del proprio punto di vista una risposta articolata in modo diverso, utilizzando terminologie specifiche e differenziate; ma all’interno delle loro argomentazioni sul tema, possiamo riconoscere 4 costanti, che cercherò di riportare qui.
Non sarà per sempre. Quanto più, in una situazione difficile, sono capace di dirmi “non ci sto riuscendo, per ora”, “non ho ancora imparato come fare”, “questo ostacolo non può essere rimosso in questo momento, ma non sarà per sempre”, tanto più sarò in grado di provare meno senso di ineluttabilità e di sconforto. E questa conseguenza ha un impatto immediato sul mio modo di vivere in quel momento. (Seligman chiama questa dimensione “permanenza”).
Non tutto è perduto. Se penso che l’insuccesso che sto vivendo in questo momento ha un’influenza generale su tutte le sfere della mia vita (famiglia, amicizie, lavoro, finanze, sport…) allora, naturalmente, le emozioni che proverò saranno quelle di una profonda tristezza, unita ad un grande senso di impotenza. Imparare a definire qual è il perimetro preciso e circoscritto su cui può avere impatto un avvenimento negativo ci regala la possibilità di sentirci fiduciosi, al sicuro e realizzati negli altri ambiti. E da lì, ripartire.
Non è sempre colpa mia. Se tutte le volte che le cose vanno male, mi addosso completamente e pienamente la responsabilità di ciò che è successo, non sto facendo un atto di trasparenza, maturità ed estrema consapevolezza. Al contrario, sto facendo una osservazione irrealistica. Perché, se è vero che noi abbiamo il potere di influenzare ciò che succede attraverso il nostro comportamento, è altrettanto vero che non dipende sempre tutto da noi. È sano essere in grado di riconoscere i propri errori e le proprie mancanze, ma essere maturi comporta anche la capacità di accettare che alcune cose succedono a causa di fattori esterni (gli eventi e le reazioni delle altre persone). Apprendere il giusto equilibrio fra attribuzione interna ed esterna di ciò che succede è una delle vie che ci aiuta ad esercitare l’ottimismo.
Presta attenzione anche agli altri. Il quarto concetto ricorrente negli studi e nelle riflessioni sull’ottimismo dei “Grandi” che ho citato prima è il sentirsi connessi con gli altri. Quanto più mi sento in relazione con le altre persone, con il gruppo a cui appartengo e, più in generale, con gli esseri umani (con tutta la loro energia e la loro vulnerabilità), tanto più non mi sentirò sola, impotente e sbagliata nell’affrontare la vita nella sua complessità.
Difendiamo, dunque, il nostro diritto ad essere pessimisti, accogliamo la tristezza e lo sconforto, quando arrivano! E, al contempo, con la compassione di cui siamo capaci, alleniamo la nostra abilità ad assumere un atteggiamento ottimistico: ne avremo dei vantaggi in termini di benessere fisico e mentale. Praticare l’intelligenza emotiva è uno dei modi che ci consente di sviluppare questo tipo di approccio, contattami se vuoi capire meglio come.
*Alcuni articoli da cui ricavare i dati sul rapporto su salute e ottimismo: